Brahimi, comprato e venduto in perdita nel giro di 48 ore. E la famiglia Pozzo… (Il lato oscuro del calcio globale)

Per chi ancora non avesse capito come funzioni oggi il mercato globale dei calciatori, e quali siano i reali interessi che lo muovono, racconto una vicenda che fa da parabola. Essa mette al centro Yacine Brahimi, calciatore classe 1990, nato in Francia e naturalizzato algerino.

Yacine Brahimi
Yacine Brahimi

 

Con la nazionale magrebina Brahimi è stato protagonista di un buon mondiale durante le scorse settimane, ciò che ha rafforzato nei suoi confronti l’attenzione già alta da parte dei principali club europei. Nelle due ultime stagioni il calciatore ha giocato nella Liga spagnola con la maglia del Granada, cioè uno dei club controllati dalla famiglia Pozzo assieme all’Udinese e agli inglesi del Watford. E sappiamo bene quanto sia favorevole la narrazione che la stampa sportiva fa del “Modello Udinese”, e del ruolo che la famiglia Pozzo esercita nel calcio. Qualcosa che molto da vicino ricorda la propaganda.

Ma torniamo a ciò che succede a Granada. Dopo un mondiale disputato a così alto livello, appare chiaro che Brahimi non possa rimanere in un piccolo club la cui prospettiva non va oltre la lotta per la salvezza. Cederlo alle condizioni più vantaggiose è l’unica soluzione credibile, e in effetti la cessione avviene. A rilevare Brahimi è un club dell’élite europea, regolare frequentatore della Champions League: il Porto. E dunque fin qui le cose vanno come dovrebbero andare, nel senso che Brahimi approda a una squadra competitiva come il suo valore pretende. Ma poi, guardando i dettagli del trasferimento, i conti smettono di tornare. In ogni senso.

Succede infatti che Brahimi venga ceduto a una cifra nettamente inferiore rispetto al suo valore di mercato stimato: 6,5 milioni di euro. E a determinare le condizioni dell’affare è un soggetto che chi segue i miei scritti sul tema ha imparato a conoscere bene: il Doyen Sports Investments. Che nel proprio sito ufficiale dà trionfalmente notizia di avere “cooperato e finanziato”.

Per illustrare al meglio i passaggi oscuri della vicenda mi rifaccio a alcuni articoli di pubblicati sui giornali spagnoli e portoghesi. In particolare, risultano molto stimolanti quelli firmati da Rafael Lamelas per il quotidiano locale di Granada, IdealDagli articoli di Lamelas emerge che l’affare sarebbe stato realizzato dai due presidenti del club, Quique Pina (un ex calciatore diventato agente, uomo di fiducia dei Pozzo) per gli spagnoli e Jorge Nuno Pinto da Costa per il Porto.

Quique Pina
Quique Pina

 

Jorge Nuno Pinto Da Costa
Jorge Nuno Pinto Da Costa

 

E lo stesso Quique Pina riconosce che il suo club ha incassato meno di quanto potesse rispetto al valore del calciatore, ma aggiunge che a compensare questo minore incasso giungeranno benefici di altro tipo. Segnatamente, Pina ammette che Doyen Sports s’è impegnato a rafforzare i ranghi del Granada, portando un centrale e un laterale. Dunque, Doyen regola un trasferimento da un club all’altro, e ottiene che esso avvenga sottocosto promettendo in cambio altri calciatori al club cedente. Il che costituisce già di per sé una grave situazione di promiscuità e condizionamento esterno sui club. Stando a ciò che riferisce il giornalista di Ideal, il Granada si vede riconoscere soltanto il 5% sul valore del trasferimento e dei non meglio precisati diritti su un futuro trasferimento. Tutto ciò induce Lamelas, nell’articolo pubblicato il 24 luglio, a fare delle considerazioni che meritano d’essere riportate integralmente:

È indubbio che l’attuale proprietà del Granada abbia vinto delle sfide economiche e raggiunto dei successi sportivi da quando ha rilevato una società in rovina, che sono stati capaci di portare nella massima divisione estinguendone il debito; ma [è indubbio] pure che il suo modello di gestione è innovativo, confuso, imprevedibile e, con frequenza, poco trasparente, specie riguardo al capitolo della proprietà dei suoi calciatori.

Il giorno dopo è sempre Lamelas a pubblicare un lungo e istruttivo articolo sul ruolo dei fondi d’investimento nel calcio, e sulla relazione che con essi è tenuta dalla rete dei club calcistici controllata dalla famiglia Pozzo. E il quadro che ne emerge non è per niente edificante. Se ne riparlerà.

Ma la vicenda non finisce qui, anche perché finora è stata raccontata soltanto sul versante spagnolo. C’è anche il versante portoghese, e da lì spiccano da subito dettagli oscuri. Il Porto è un club quotato in borsa, e per questo motivo è tenuto a dare comunicazione delle proprie transazioni alla Commissão de Mercado de Valores Mobiliarios (CMVM), la Consob portoghese. Il comunicato datato 22 luglio rende noto che il club guidato da Pinto da Costa ha acquistato Brahimi per 6,5 milioni di euro, che il calciatore ha firmato un contratto quinquennale (scadenza nel 2019) e che la clausola rescissoria è stata fissata a 50 milioni di euro.

Passano solo due giorni, e il 24 luglio il Porto indirizza un’altra comunicazione ufficiale alla CMVM. Vi si rende noto che il club ha ceduto l’ottanta per cento dei diritti economici (cioè, quelli di lucrare sulla futura cessione di Brahimi) a Doyen Sports Investments per una cifra di 5 milioni di euro. Nell’edizione mandata in edicola il giorno dopo, il quotidiano sportivo portoghese O Jogo fa notare un dettaglio grottesco: in data 22 luglio il cento per cento di Brahimi vale 6,5 milioni, due giorni dopo il suo ottanta per cento vale 5 milioni. Ma l’ottanta per cento di 6,5 milioni è 5,2 milioni. E dunque? In soli due giorni, e senza nemmeno mettere piede in campo, Brahimi si è svalutato di 100 mila euro al giorno? Bell’affare!

Ovviamente, tutto lascia pensare che le cifre reali non siano quelle. Perché a Granada dicono che Doyen ha orchestrato il trasferimento, e il sito dello stesso fondo d’investimento comunica che il fondo l’ha finanziata. Dal canto suo, il Porto dice di avere comprato e rivenduto. Ma quanti soldi sono effettivamente circolati? Chi sborsa e chi incassa? Soprattutto, dove finiscono i denari di queste compravendite? Sarebbe bello che la famiglia Pozzo rispondesse a queste domande. E sarebbe ancor più auspicabile che le autorità europee di controllo finanziario e fiscale affrontassero sul serio il mondo opaco dell’economia parallela del calcio globale.

@pippoevai

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